Dissenso alle liti: uno sguardo all’art. 1132 del codice civile

In base all’Art. 1132 del codice civile, il dissenso alle liti, può essere manifestato soltanto in merito alle cause, attive o passive, alle quali il condominio abbia deciso di partecipare in forza di una delibera assembleare.

La riforma del 2012 non ha modificato l’articolo 1132 c.c. , grazie alla giurisprudenza però fortunatamente ci sono dei punti saldi su cui fare affidamento.

DELIBERA: necessità imprescindibile

Il primo punto fermo riguarda il dissenso che può essere manifestato soltanto in merito alle cause, attive o passive, alle quali il condominio abbia deciso di partecipare in forza di una delibera assembleare. Nel caso in cui non ci sia la delibera, i condòmini non hanno la facoltà di esprimere il dissenso.
Quindi, un presupposto essenziale per manifestare il dissenso alle liti è la delibera.
Di conseguenza possiamo individuare l’impossibilità per i condòmini di esercitare il dissenso in ordine alle liti che l’amministratore promuove o alle quali resiste senza il preventivo “passaggio in assemblea” perché rientrano nell’esercizio dei suoi poteri.

Un esempio potrebbe essere il ricorso per decreto ingiuntivo contro i condòmini morosi oppure il ricorso d’urgenza per il passaggio delle consegne nei confronti dell’amministratore uscente.

FORMALITA’ NECESSARIE

Il secondo punto è che il condòmino presente in assemblea deve esprimere il suo dissenso con due atti distinti, entrambi essenziali.
Il condòmino presente in assemblea infatti deve votare “no”  allorché si voti sulla partecipazione o meno del condominio alla causa. Deve esprimere manifestamente il suo dissenso in relazione alla delibera, quindi la prima formalità assolutamente necessaria è il voto “negativo”.

Questo però non basta.
Infatti la semplice votazione contraria non è sufficiente per essere esclusi dalle eventuali conseguenze negative della causa, cioè per essere “dissenziente” nel significato di cui all’art. 1132 c. c.
Per essere dissenziente, e quindi essere legittimamente escluso dalle spese di causa, il condòmino in seguito ad aver espresso il voto negativo in assemblea ha poi l’obbligo di notificare all’amministratore – ma basta una lettera raccomandata a.r. – con un atto scritto in cui ribadisce la sua contrarietà alla causa e quindi la sua volontà di essere esonerato dalle spese.
La comunicazione deve pervenire all’amministratore entro 30 giorni dalla data in cui si è svolta l’assemblea.
Nel caso in cui ci sia un condòmino assente che vuole votare il suo dissenso alle liti giudiziarie, dovrebbe semplicemente inviare all’amministratore la formale comunicazione scritta di contrarietà entro giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza della delibera.

dissenso alle liti condominiali

LE CONSEGUENZE DEL DISSENSO ALLE LITI 

Il condòmino esprime il suo dissenso alle liti perchè non vuole essere coinvolto nella causa sotto il profilo economico. Non vuole contribuire, partecipare, alle spese processuali.

C1) IN CASO DI SOCCOMBENZA DEL CONDOMINIO
Il primo comma dell’art. 1132 c.c. dichiara che il condòmino dissenziente “può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza”.
Le conseguenze in caso di soccombenza però sono un po’ confuse.
Tenendo conto che la norma risale al 1942, e in quel frangente non esisteva per esempio il patto quota (lite tra cliente e avvocato), vi sono due conseguenze in caso di soccombenza in merito alle spese di lite per il soccombente: una certa e una probabile.
La conseguenza certa è il pagamento della parcella del proprio legale.
La conseguenza probabile è la condanna al pagamento delle spese legali alla parte vittoriosa.

Quindi il condòmino dissenziente, in caso di soccombenza del Condominio, non è tenuto a partecipare al pagamento delle spese processuali a favore del difensore del condominio ne a quelle eventuali a favore della controparte liquidate dal giudice con la sentenza.

C2) IN CASO DI VITTORIA DEL CONDOMINIO
Il secondo comma dell’art. 1132 c.c. statuisce che nel caso in cui l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condòmino dissenziente “che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente”.
Nel caso in cui il condominio sia vittorioso vi sono due conseguenze in merito alle spese di lite, anche qui ce ne è una certa e una probabile.
Il pagamento della parcella del proprio legale è la conseguenza certa.
Invece la conseguenza possibile è la condanna della controparte soccombente al pagamento delle spese legali al condominio.

In conclusione il condòmino dissenziente, in relazione alle cause deliberate in assemblea, non è tenuto a partecipare al pagamento pro quota delle spese processuali, e precisamente non è tenuto a pagare né quelle a favore della eventuale controparte vittoriosa, né quelle a favore del legale del Condominio.

Al fine di fare la maggiore chiarezza possibile si evidenzia che gli acconti pagati dal condominio al proprio legale di fiducia sono appunto acconti, cioè anticipazioni sulla parcella finale, per cui il condomino dissenziente non dovendo pagare la parcella non deve pagare neppure gli acconti sulla parcella.

Tettoia sul balcone senza autorizzazione dell’assemblea se non lede il decoro architettonico

Nel corso degli anni le dimensioni delle abitazioni sono andate via via restringendosi e, pertanto, si sono moltiplicati i progetti volti a recuperare spazi tanto all’interno che all’esterno degli immobili.

Tuttavia, questi lavori sono soggetti a due tipi di limiti: quelli amministrativi, da un lato, relativi al rispetto della normativa urbanistica la quale potrebbe imporre la richiesta del «permesso di costruire», e quelli civili, dall’altro lato, relativi al rispetto della normativa condominiale quando i lavori si inseriscono in un edificio con più di un proprietario, che potrebbero imporre il consenso dell’assemblea.

In linea generale quando si realizzano nuovi spazi abitabili o, comunque, “volumetrie calpestabili” è sempre necessario fare i conti con il permesso di costruire del Comune. La tettoia sul balcone non fa eccezione. Infatti è sempre necessaria l’autorizzazione del Comune quando tale costruzione sia di dimensioni tali da creare un’utilità (ad esempio uno spazio vivibile al riparo dalla pioggia) e non sia un semplice decoro architettonico. Così infatti si è espresso il TAR Lazio sul punto “la tettoia comportante una modificazione volumetrica e di sagoma priva del carattere della precarietà, essendo destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico, deve considerarsi abusiva, ove eseguita – come nella fattispecie – in assenza del permesso di costruire”. (sent. n. 7877/2016)

Tale autorizzazione, invece, non sarà necessaria, così come chiarito dal TAR Calabria, quando “la sua (riferito alla tettoia ndr) conformazione e le sue ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile le finalità di arredo o di riparo e protezione, anche da agenti atmosferici, dell’immobile cui essa accede”.

E’ bene chiarire un punto: realizzare una tettoia senza il permesso del Comune, quando ciò sia obbligatorio, costituisce abuso edilizio e, pertanto, si commette reato. Si prescrive in 4 anni (5 anni se arriva l’avviso di garanzia), ma, è bene tenere a mente che l’ordine di demolizione non cade mai in prescrizione e può essere intimato in qualsiasi momento.

Veniamo ora ai limiti di stampo privatistico. La realizzazione della tettoia non richiede, di norma, il permesso del condominio. Ciò perché gli altri condomini non possono porre limiti e vincoli alla proprietà esclusiva privata, il proprietario dell’appartamento può iniziare tranquillamente la realizzazione del manufatto. Il proprietario che intenda realizzare una tettoia sul balcone è tenuto soltanto a dare comunicazione dell’avvio dei lavori all’amministratore, senza però dover attendere il consenso di questi o dell’assemblea.

In ogni caso il proprietario dell’appartamento deve fare attenzione a due aspetti, ovvero: non modificare la silhouette dell’edificio in modo tale da pregiudicare il decoro architettonico dello stesso e non compromettere la stabilità dell’immobile.

Solo un regolamento votato all’unanimità può imporre di chiedere, prima della realizzazione della tettoia, il permesso al condominio. A chiarirlo è stata la Cassazione con la sentenza n. 12190/17 del 16.05.2017. In tal pronuncia si legge che il regolamento di condominio, sia esso contrattuale (quando è predisposto dall’originario unico proprietario o dal costruttore) oppure convenzionale (in quanto adottato in assemblea con il consenso unanime di tutti i condòmini), può imporre limitazioni ai diritti degli stessi in ordine alla proprietà comune ed a quella privata.

Sulla scorta di ciò il regolamento condominiale può/potrà anche fornire una definizione più rigorosa del concetto di «decoro architettonico», imponendo, ad esempio, il rispetto di particolari simmetrie, estetica e aspetto generale del fabbricato per come originariamente edificato.

Insomma prima di realizzare una tettoia sul balcone è sempre bene leggere con estrema attenzione il regolamento di condominio perché questo, se è stato approvato all’unanimità, potrebbe contenere un vincolo di immodificabilità del fabbricato senza il consenso dell’assemblea condominiale. Se però non c’è una simile clausola le opere eventualmente realizzate devono ritenersi legittime, ferma restando l’assenza di pregiudizio alla solidità e sicurezza all’edificio.

Piscina gonfiabile sul tetto condominiale…possibile?!

E’ quasi tempo d’estate e il caldo è già arrivato. Per trovare un po’ di riparo dall’afa potreste pensare di mettere una piscina gonfiabile sul tetto condominiale.

Innanzitutto le piscine gonfiabili rientrano nell’alveo delle strutture “amovibili” quelle, cioè, che non sono ancorate al terreno e che, quindi, all’occorrenza posso essere rimosse. Questo tipo di strutture, rispetto a quelle “fisse”, hanno numerosi vantaggi come, ad esempio, un prezzo più basso, non sono necessari lavori edili e sono facili da montare/smontare.

Non è tutto! La differenza più importante è che una piscina gonfiabile non rientra tra le “innovazioni” di cui all’art.1120 c.c. e, pertanto, la sua posa non deve essere approvata con le maggioranze di cui all’art. 1136c.c (maggioranza degli intervenuti e 2/3 del valore dell’edificio). Per posizionarla potrebbe essere necessario la sola comunicazione all’amministratore, al netto di specifici divieti in tal senso nel regolamento condominiale.

“Potrebbe” abbiamo detto. Sì, perché, a norma dell’art.1122 c.c., “nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.”

Pertanto una piscina che “sporga” dal tetto e sia visibile o sia tanto pesante da minare la stabilità del condomino potrà essere oggetto di una delibera condominiale volta alla sua rimozione.

la piscina gonfiabile

Si ricorda, infatti, che ciascun condomino può far liberamente uso di una parte comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso (art. 1102 c.c.). In altre parole, il singolo condomino non può mutare né deteriorare la funzione del bene.

Per posizionare una piscina sul tetto/lastrico, oltre che il rispetto dei limiti che abbiamo visto prima, è, altresì, necessario procedere a tutta una serie di prove tecniche volte a verificare la portanza massima che il tetto/lastrico è in grado si sostenere. Considerate che un metro cubo d’acqua pesa una tonnellata.

Per quanto la piscina gonfiabile possa essere di ridotte dimensioni, ci sono delle spese da affrontare come l’acqua necessaria a riempirla, oltre alle spese di manutenzione; infatti, per evitare il proliferare di batteri, nocivi alla salute, è necessario filtrare e trattare l’acqua con modalità adeguate, per esempio, sarà opportuno stabilizzare il livello del cloro ed impiegare prodotti anti-alghe.

Se la piscina è un bene comune, rispondono tutti i condomini in base ai millesimi se, invece, è stata posta da un singolo condomino, su di un bene comune, e ne fruisce solo questo le relative spese saranno a suo totale carico.

Come ripartire le spese dell’acqua nel condominio

Non sempre le spese per l’acqua potabile sono in linea con i reali consumi di ciascun condomino e questo può dipendere dal criterio che il condominio, nel proprio regolamento, ha stabilito.

Esistono, essenzialmente, tre modi di ripartizione delle spese: in base al numero delle unità immobiliari, in base al numero dei condomini o attraverso il contatore a sottrazione.

Vediamoli, uno per uno, per vedere quale tra questi sia il più “equo” per la ripartizione delle spese dell’acqua nel condominio.

RIPARTIZIONE IN BASE AL NUMERO DELLE UNITA’ IMMOBILIARI

Questo criterio, volto più che altro alla praticità della ripartizione, si basa sulla divisione del totale delle spese per il numero di unità abitative presenti nel condominio. Questo, però, non tiene conto di alcuni fattori dirimenti per una suddivisione equa. Infatti non prende in considerazione né il numero di inquilini in ciascun appartamento né la presenza o meno di unità “vuote”. Se, da una parte, rende estremamente semplice il calcolo matematico, dall’altra, lascia spazio a lunghe discussioni tra condomini. Per tutti questi fattori è un metodo che trova, di rado, applicazione.

 

RIPARTIZIONE DELLE SPESE IN BASE AL NUMERO DI CONDOMINI

Questa metodologia permette di arrivare ad una divisione delle spese in modo più preciso di quello in base al numero di unità abitative. Infatti divide la spesa tenendo conto degli inquilini presenti in ogni unità abitativa. Tuttavia anche questo criterio si presta ad un’iniqua suddivisione poiché non tiene conto della reale composizione del nucleo familiare. Si presupporrà un consumo identico sia se il nucleo è composto, ad esempio, da quattro adulti sia da due adulti e due bambini ecc. parimenti a parità di numero di inquilini se è diversa la grandezza degli appartamenti.

le spese per l'acqua

 

RIPARTIZIONE DELLE SPESE CON IL CONTATORE A SOTTRAZIONE

Se vivete in uno stabile di recente ristrutturazione, sarete già dotati di questo tipo di contatore. Questo, infatti, con il decreto ministeriale del 4 marzo 1996 è diventato obbligatorio per legge. In questo caso ogni appartamento è dotato di un contatore “privato” che registra i singoli consumi.

Il contatore a sottrazione è sicuramente un metodo di ripartizione che rispecchia i consumi reali. Ma esistono diverse fasce di consumo: stando attenti agli sprechi si apparterrà a una fascia agevolata e si pagherà, a metro cubo, una tariffa inferiore rispetto a chi consuma più acqua. La differenza di costi, infatti, può anche superare i 2 € a metro cubo: per questo è importante che il consuntivo tenga in considerazione queste differenze.

Car Sharing Condominiale

                  Gli iscritti alle società di car sharing, nel 2016 per la prima volta, hanno superato il milione di persone, per la precisione 1.080.000 tesserati pari ad un +70% sul 2015, mentre le 6.000 vetture proposte dai vari operatori sono state noleggiate per complessive 6,27 milioni di volte, in particolare, Milano e Roma si confermano le città italiane leader, con un peso dell’80% sul business complessivo del car sharing.

Il Comune di Milano, in questi giorni, è al lavoro su un bando per la gestione del servizio di car sharing negli stalli pubblici e nei condomini, nelle aziende e nei parcheggi privati così da aumentare le opportunità del modello ‘station based’.

A Milano è particolarmente diffuso il ‘free floating’: ora il Comune vuole sviluppare quello ‘station based’ e favorire chi intende fornire il servizio con veicoli elettrici ma anche i privati che mettano a disposizione dei loro utenti stalli interni.

Secondo le linee guida adottate dal Comune di Milano la flotta minima prevista, per il servizio di car sharing pubblico, dovrà essere di 100 veicoli e, per quello privato condominiale o aziendale, di 10, i servizi dovranno essere svolti esclusivamente all’interno degli stalli a disposizione del gestore con la possibilità, incentivata grazie ad agevolazioni tariffarie, di allargarsi ai comuni dell’Area Metropolitana, naturalmente, in accordo con le amministrazioni locali interessate.

Le linee guida, inoltre, stabiliscono un canone mensile, per ogni auto della flotta di car sharing, pari a 60 euro in modo tale da coprire, forfettariamente, le spese di utilizzo di strisce gialle e blu e l’ingresso in Area C.

Saranno assegnati due lotti composti da 151 parcheggi ciascuno e dislocati in 100 località distribuite sul territorio cittadino. La base d’asta per l’assegnazione di ciascun lotto è di 5.996 euro al mese. Sarà possibile installare punti di ricarica elettrica nelle aree in concessione anche aperti alla collettività. È previsto un incentivo pari a uno sconto del 4% sul canone per ogni punto di ricarica pubblico installato.

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da Il Messaggero.it: Truffa a Roma, usava i soldi del condominio, amministratrice a giudizio: gli inquilini avevano 180 mila euro di debiti

Uno dei vantaggi che avrai affidando la gestione del tuo Condominio ad una Società specializzata come la nostra, è proprio la certezza di avere sempre un punto di riferimento per le tue esigenze.

Ricordiamo che Italiana Condomini è strettamente legata alla solidità ed esperienza di un’importante realtà Imprenditoriale, il Gruppo Volpes, che proprio nel 2017 celebra il suo cinquantesimo anno di attività sempre al servizio dei suoi Clienti. Dove puoi trovare un’affidabilità come questa?

La Italiana Condomini rende noto ai suoi condomini già nei preventivi di gestione e poi in sede di nomina, di non voler accettare alcun pagamento in contanti consigliando sempre l’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili e verificabili dall’estratto di cc consultabile online sul sito della società.

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Questa policy nasce a tutela dei condomini, al fine di garantire trasparenza e contezza di ogni movimento in entrata e in uscita sul cc condominiale. Ad esempio, il MAV bancario è una delle tipologia di pagamento per noi preferibile in quanto pagabile sia in banca sia online dando l’opportunità di verificare l’oggetto del pagamento indipendentemente da una possibile indicazione errata della causale in sede di bonifico.

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Condominio Day: l’evento in cortile per fare amicizia

Le tendenze dell’estate questa volta sono arrivate fin dentro le nostre case, come? Con il Condominio Day: un evento creato ad hoc per conoscere i propri vicini con i quali si sa, spesso purtroppo, non corre buon sangue. Milano inaugura così la bella stagione, con feste in cortile accompagnate da musica, cibo e bicchieri di vino per togliere gli inquilini dall’imbarazzo iniziale e creare un ambiente informale e coinvolgente.

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Lo scetticismo non manca e con esso le opposizioni a queste manifestazioni visto che la legge parla chiaro: è l’assemblea condominiale a dare il benestare. Adesso però le esperienze precedenti parlano di condòmini soddisfatti, Cristiano B. residente vicino Porta Romana, aveva pensato al cortile del palazzo per festeggiare il suo compleanno e poi ha deciso di estendere l’invito a tutti i condòmini. Il risultato è stato fantastico, sono scesi tutti a festeggiare con lui ed i suoi ospiti ed è persino nata una storia d’amore fra una sua amica ed un inquilino del secondo piano…forse vale la pena fare un tentativo, almeno per aiutare i cuori solitari. La città di Roma ancora non ha avuto modo di provare i risultati benefici di questa iniziativa, ve la sentite di farvi promotori?!?

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Ed infine ecco la dritta che stavate aspettando per organizzare la vostra personale “festa del vicino” – come viene chiamata in Francia –  così dopo avrete finalmente qualcuno a cui chiedere il sale in caso di necessità! L’iter da seguire è semplice, prendete coraggio e proponete l’idea ben strutturata durante la prossima riunione condominiale e buona fortuna…però state tranquilli, è difficile resistere ad una festa!

Nasce The Plant, il condominio verde simile a una fattoria 2.0

Chi vive in città sente spesso l’esigenza di più spazi verdi intorno al proprio condominio. Numerosi metropoli, infatti, stanno attuando dei piani di rivalutazione urbanistica atti a riconnettere i centri urbani con la natura.

Un esempio innovativo è rappresentato dalla città di Toronto, da diversi anni impegnata nell’architettura sostenibile. Uno dei progetti più recenti è costituito da “The Plant”, un condominio residenziale caratterizzato dalla presenza di spazi verdi e dalla possibilità, per i condòmini, di coltivare come in una vera e propria fattoria. Non solo orti e giardini, quindi, ma vera e propria produzione di frutta e verdura.

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Ancora più significativo il fatto che tale edificio sorgerà in una ex zona industriale di produzione alimentare, nella zona di Queen West. Al piano terra saranno presenti spazi comuni dedicati ai condòmini; al secondo piano uffici, mentre il resto della struttura sarà adibito a residenze private.

Gli appartamenti, inoltre, saranno eco-friendly, grazie all’utilizzo di impianti di riscaldamento geotermico, dell’illuminazione a LED e di materiali a basso contenuto di VOC (composti organici volatili). Ciascuna suite avrà un costo di partenza di 500 mila dollari.

Bisogna installare i corrimano per disabili nel condominio?

In Italia la disciplina in tema di abbattimento delle barriere architettoniche per i portatori di handicap negli edifici privati è dettata dalla legge n.13/1989, la quale prevede che gli inquilini con handicap hanno diritto di chiedere e ottenere l’abbattimento delle barriere architettoniche presenti nell’edificio ma, tuttavia, non esiste alcun obbligo, per il condominio, di partecipare alle spese per realizzare tali opere.

Tutte le innovazioni che abbiano ad oggetto l’abbattimento delle barriere architettoniche così come la realizzazione di percorsi attrezzati e l’installazione di dispositivi di segnalazione per favorire la mobilità dei ciechi nel condominio devono essere deliberate dall’assemblea condominiale, in prima o in seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Nel caso in cui l’assemblea non assuma tali delibere, o non lo faccia entro tre mesi dalla richiesta scritta, i portatori di handicap, o chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala o comunque tutte le strutture mobili e facilmente rimovibili e possono, addirittura, modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, per agevolare l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

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I condomini diversamente abili hanno, pertanto, un importante strumento dalla loro parte: quello di realizzare innovazioni all’immobile anche in difetto di apposita delibera assembleare.

Un vero e proprio obbligo di dotazione, invece, esiste negli edifici costruiti a partire dal 1989, per i corrimano laterali nei vani scala. Pertanto se l’edificio è stato costruito prima del 1989 il condominio ha l’obbligo di installare questi presidi e la relativa spesa dovrà essere suddivisa tra tutti i condomini. Se è stato costruito, invece, dopo questa data si dà per scontato la loro presenza.

La legge prevede, oltre alla presenza dei corrimano, una serie di ulteriori obblighi per garantire la sicurezza dei condomini, con particolare riguardo per le persone diversamente abili, come, ad esempio, il parapetto.

I corrimano devono essere fatti di materiali resistenti, non taglienti e di facile presa e devono essere installati su entrambi i lati del vano scale ed, infine, deve trovarsi ad un’altezza compresa tra i 90cm ed 1mt.

Il parapetto invece deve avere un’altezza minima di 1mt e non dev’essere attraversabile da una sfera di diametro di 10cm.

La mancata installazione di questi strumenti esporrebbe il condominio a tutte le responsabilità derivanti dall’assenza di queste strutture, tra tutte, sarebbe costretto a risarcire il danno in caso qualcuno si faccia male proprio perché non c’erano i corrimano.

La puzza di fritto da oggi è reato

Con la sent. n. 14467/017 la Cassazione ha stabilito che la puzza di fritto è reato di “molestie olfattive”

 

             Il condominio è da sempre un microcosmo in cui coesistono storie e abitudini familiari molto diverse tra loro e una convivenza (pacifica) tra condomini è una sfida da sempre difficile: chi sgrulla la tovaglia sui panni dell’inquilino del piano di sotto, lo studente che ascolta musica ad alto volume, i bambini che giocano nel cortile al primo pomeriggio o gli amanti della cucina “pesante” del primo piano.

 

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Ecco per questi ultimi da oggi scatta il divieto di “fritto selvaggio”, non è un nutrizionista o un dietologo a dirlo, bensì la Corte di Cassazione che, con la sent. 14467/017, ha stabilito che la puzza di fritto è reato.

La vicenda prende le mosse da una lite tra inquilini di un condominio a Monfalcone, provincia di Gorizia. In particolare i proprietari dell’appartamento al terzo piano lamentavano una costante immissione di odori sgradevoli e rumori molesti nella loro abitazione, da parte di una coppia che abitava al pianterreno dello stesso stabile, causata, a loro dire, da “una fissurazione verticale della canna fumaria”.

Dalla canna fumaria non provenivano solo i rumori della vita quotidiana della coppa, dalle chiacchiere in famiglia alle discussioni, ma soprattutto la puzza di fritto che aveva reso, di fatto, invivibile l’abitazione degli inquilini del terzo piano.

 

 

 

La coppia, quindi, è stata chiamata a difendersi dall’accusa di “getto pericoloso di cose”, di cui all’art. 674 c.p.. La loro difesa si fondava, oltre che sulla considerazione che tra di loro vi erano già rapporti ostili, che le immissioni di odori di cucina, vista la loro natura, non integrassero il reato a loro contestato.

Nonostante ciò la Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei due primi gradi di giudizio ritenendoli, in via definitiva, colpevoli di “getto pericoloso di cose” rilevando che (il reato) “è configurabile anche nel caso di molestie olfattive a prescindere dal soggetto emittente con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.” per il cui accertamento “non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia”.

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La Suprema Corte, dunque, ha stabilito che la puzza, di fritto nel nostro caso, è reato indipendentemente dal soggetto che le provoca, potendo essere emessa tanto da un industria che da un privato e specificando che, non esistendo una soglia oggettiva di misurazione della tollerabilità, bisogna fare riferimento al criterio della “normale tollerabilità”.

Attenzione, quindi, all’odore di fritto (e ai vostri vicini) da oggi rischiate l’arresto fino ad un mese e un’ammenda fino a 206 Euro oltre, ovviamente, alle spese processuali. Buon appetito!