
Con la sent. n. 14467/017 la Cassazione ha stabilito che la puzza di fritto è reato di “molestie olfattive”
Il condominio è da sempre un microcosmo in cui coesistono storie e abitudini familiari molto diverse tra loro e una convivenza (pacifica) tra condomini è una sfida da sempre difficile: chi sgrulla la tovaglia sui panni dell’inquilino del piano di sotto, lo studente che ascolta musica ad alto volume, i bambini che giocano nel cortile al primo pomeriggio o gli amanti della cucina “pesante” del primo piano.
Ecco per questi ultimi da oggi scatta il divieto di “fritto selvaggio”, non è un nutrizionista o un dietologo a dirlo, bensì la Corte di Cassazione che, con la sent. 14467/017, ha stabilito che la puzza di fritto è reato.
La vicenda prende le mosse da una lite tra inquilini di un condominio a Monfalcone, provincia di Gorizia. In particolare i proprietari dell’appartamento al terzo piano lamentavano una costante immissione di odori sgradevoli e rumori molesti nella loro abitazione, da parte di una coppia che abitava al pianterreno dello stesso stabile, causata, a loro dire, da “una fissurazione verticale della canna fumaria”.
Dalla canna fumaria non provenivano solo i rumori della vita quotidiana della coppa, dalle chiacchiere in famiglia alle discussioni, ma soprattutto la puzza di fritto che aveva reso, di fatto, invivibile l’abitazione degli inquilini del terzo piano.
La coppia, quindi, è stata chiamata a difendersi dall’accusa di “getto pericoloso di cose”, di cui all’art. 674 c.p.. La loro difesa si fondava, oltre che sulla considerazione che tra di loro vi erano già rapporti ostili, che le immissioni di odori di cucina, vista la loro natura, non integrassero il reato a loro contestato.
Nonostante ciò la Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei due primi gradi di giudizio ritenendoli, in via definitiva, colpevoli di “getto pericoloso di cose” rilevando che (il reato) “è configurabile anche nel caso di molestie olfattive a prescindere dal soggetto emittente con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.” per il cui accertamento “non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia”.
La Suprema Corte, dunque, ha stabilito che la puzza, di fritto nel nostro caso, è reato indipendentemente dal soggetto che le provoca, potendo essere emessa tanto da un industria che da un privato e specificando che, non esistendo una soglia oggettiva di misurazione della tollerabilità, bisogna fare riferimento al criterio della “normale tollerabilità”.
Attenzione, quindi, all’odore di fritto (e ai vostri vicini) da oggi rischiate l’arresto fino ad un mese e un’ammenda fino a 206 Euro oltre, ovviamente, alle spese processuali. Buon appetito!