Furto in appartamento agevolato dai ponteggi condominiali: chi ne risponde?

Il verificarsi di un furto in appartamento agevolato dai ponteggi installati per lavori condominiali costituisce fattispecie frequentemente sottoposta al vaglio della giurisprudenza di merito e di legittimità. L’orientamento giurisprudenziale si mostra ormai unanime e consolidato in tema di responsabilità dell’impresa appaltatrice e del condominio nell’ipotesi di furto commesso da persone che si sono introdotte in un appartamento attraverso i ponteggi installati per i lavori di restauro o manutenzione dello stabile.

Secondo il Tribunale civile di Milano (28 ottobre 2002), essendo noto che le impalcature ed i ponteggi usati dagli imprenditori edili per eseguire riparazioni e ristrutturazioni degli immobili costituiscono di per sé una facile agevolazione per i ladri, del furto subito da un condomino in occasione dei suddetti lavori risultano responsabili ex art. 2043 c.c. in via solidale tanto la ditta appaltatrice che non abbia messo in atto alcuna forma di tutela atta ad evitare l’accesso agli appartamenti condominiali, quanto il condominio che non abbia adottato un valido sistema antifurto da collocare nell’impalcatura. Ai sensi dell’art. 2051 c.c., infatti, il condominio committente è tenuto alla vigilanza e alla custodia della struttura necessaria per l’esecuzione dei lavori, essendo questo il soggetto che ne ha disposto l’installazione ed il mantenimento. Inoltre, è compito dell’amministratore di condominio convocare l’assemblea per prendere delibere assembleari in merito. Allo stesso tempo, la ditta edile è ritenuta responsabile per omessa ordinaria diligenza nell’adozione di cautele atte ad impedire l’uso anomalo dei ponteggi.

In conclusione, quando si verifica un furto in appartamento agevolato dai ponteggi condominiali installati per lavori di ristrutturazione dello stabile, la responsabilità del condominio committente può essere affermata esclusivamente ai sensi dell’art. 2043 c.c., in concorso con quella dell’appaltatore, per omissione degli obblighi di vigilanza sull’attività di quest’ultimo.

Orari di silenzio nei condomini: quali sono e come tutelarsi?

Ogni condominio, nel proprio regolamento, può stabilire quali sono le fasce orarie in cui bisogna rispettare il silenzio ed evitare di fare troppo rumore. Di solito, gli orari in cui è concesso fare rumore sono i seguenti: tra le 8:00 e le 13:00 del mattino e tra le 16:00 e le 21:00 della sera.

Non sempre, però, sussistono delle vere e proprie regole che stabiliscono quali sono gli orari di silenzio nei condomini. Salvo esista un’apposita clausola nel regolamento, è comunque dovere degli inquilini astenersi da rumori intollerabili che potrebbero disturbare la quiete del vicinato. Quindi, in assenza di appositi divieti approvati all’unanimità dai condòmini, varrà la disciplina legale. Che cosa prevede la legge in caso di rumori molesti condominiali?

Secondo il codice civile, il proprietario di un immobile non può contestare al vicino i rumori da questi prodotti se non superano la normale tollerabilità. Per questo, solo i «rumori intollerabili» possono essere vietati. Attività semplici come usare la lavatrice, l’aspirapolvere, tagliare l’erba, far giocare i bambini, suonare strumenti musicali e tanto altro ancora: c’è una linea di demarcazione che, quando si vive in un condominio, non va superata. Ogni ulteriore interpretazione spetta poi al giudice, il quale deciderà valutando caso per caso, sulla base di situazioni concrete. Ecco alcuni fattori che possono influire sul suo giudizio:

destinazione d’uso dell’immobile,

collocazione dell’immobile,

isolamento dell’immobile,

orario in cui vengono prodotti i rumori. Infatti, lo stesso tipo di rumore può essere tollerabile se prodotto in un determinato orario della giornata e intollerabile in un altro.

Potrebbero aversi anche situazioni miste, dove il regolamento va a integrare la norma del codice civile, disciplinando specifiche ipotesi.

In conclusione, in presenza di rumori illeciti, si può fare causa per chiedere l’accertamento della illiceità dell’immissione e l’eventuale risarcimento del danno, valutando di volta in volta la singola fattispecie.

 

Aprire uno studio professionale in un condominio: come si deve procedere?

Aprire uno studio professionale in un condominio è possibile, ma tutto dipende dal tipo di attività e dalla modalità con cui questa viene espletata. Infatti, se per la tipologia di attività esercitata non è prescritto alcun requisito in merito ai locali e non è prevista l’apertura al pubblico, è possibile esercitare in casa. Se l’utilizzazione lavorativa dei locali non comporta una modifica della tipologia costruttiva, o dell’organizzazione interna degli spazi, non è necessario porre in essere alcun adempimento particolare.

Nel caso in cui si voglia destinare la propria abitazione a studio professionale (categoria A/10), è necessario cambiare destinazione d’uso da residenziale a direzionale. Innanzitutto, bisogna stabilire se destinare tutto l’immobile ad ufficio o solo una parte. In quest’ultimo caso si dovrà procedere al frazionamento dello stesso, ovvero separare lo studio, in quanto una stessa unità immobiliare non può risultare sotto più categorie.

Se vivete in un condominio, la prima cosa da controllare è il regolamento condominiale perché potrebbe, difatti, vietare il cambio. Questo divieto è valido solo se approvato con l’unanimità dei condomini. Qualora non vi fosse alcun divieto, per ottenere il cambio destinazione d’uso, l’interessato dovrà ottenere l’approvazione dell’assemblea (con una maggioranza pari ad almeno il 51% dei partecipanti).  Altri aspetti che potrebbero impedire il cambio di destinazione d’uso sono legati alle caratteristiche intrinseche dell’immobile che devono rispettare determinati requisiti, come ad esempio le prescrizioni igienico-sanitarie previste per una determinata attività.

Prima di procedere, è necessario verificare se le normative urbanistiche lo consentono o se sussistono dei vincoli ai quali l’immobile è sottoposto. Lo strumento urbanistico che indica se sul proprio immobile è possibile realizzare il cambio destinazione d’uso è il Piano Regolatore Generale, ad oggi sostituito dal Piano strutturale e Regolamento urbanistico. Nel caso in cui sia consentito, bisogna presentare una DIA (dichiarazione d’inizio attività) al Comune in cui l’immobile è ubicato, a firma di un tecnico abilitato, anche se molti comuni consentono il ricorso alla SCIA (segnalazione certificata d’inizio attività). Se, invece, devono essere effettuate delle modifiche strutturali o distributive, è indispensabile richiedere un permesso per costruire.

Inoltre, l’interessato dovrà richiedere un certificato di agibilità al Comune e presentare una dichiarazione di variazione d’uso catastale all’ex Ufficio dell’Agenzia del Territorio competente: infatti, dal momento che cambia la categoria edilizia, muteranno anche la rendita catastale e i criteri per il calcolo delle imposte (Imu, Tari, Tasi, e via dicendo).

In definitiva,  aprire uno studio professionale in un condominio è possibile ma bisogna accertarsi sulla reale fattibilità e chiedere gli opportuni permessi.

Incentivi 2018. Quando si può usufruire del bonus verde?

Grazie all’Ecobonus verde, quest’anno per la prima volta anche i giardini privati potranno usufruire di aiuti statali. Dopo quasi tre anni di lavoro di sensibilizzazione, promozione, cultura e networking, il Consiglio dei Ministri ha approvato il bonus, successivamente è stato inserito nella nuova Legge di Bilancio 2018 ed è in vigore dal 1° gennaio di quest’anno.

Con la Legge di Bilancio 2018, Manovra da 20 miliardi di euro, entrano in vigore diverse novità a partire dall’istituzione del bonus verde e dalla stabilizzazione dell’Ecobonus 2018 per i condomini e privati. Si tratta di una novità assoluta, una forma di sostegno alla diffusione del verde utile sia a combattere lo smog delle nostre città che a renderle più verdi e più a misura d’uomo.

Bonus verde, chi può richiederlo e cosa comprende

Secondo quanto pubblicato sul sito dell’Agenzia delle entrate, ad averne diritto è chi possiede o detiene, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile oggetto degli interventi per il quale ha sostenuto le spese oggetto del bonus.

Quest’ultimo spetta non solo ai proprietari ma anche per le spese sostenute per interventi eseguiti sulle parti comuni esterne degli edifici condominiali, fino a un importo massimo complessivo di 5.000 euro per unità immobiliare a uso abitativo. In questo caso, ad averne diritto è il singolo condomino.

Gli interventi detraibili sono i seguenti:

  • sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi;
  • realizzazione di coperture a verde e di giardini pensili.

 

Bonus verde, a quanto ammonta

La Legge di Bilancio 2018 prevede espressamente che il bonus verde spetta ai condomini per le spese condominiali, infatti spetta anche in caso di lavori effettuati sulle parti comuni di ciascuna unità immobiliare ad uso abitativo. Quindi il diritto alla detrazione nasce anche qualora si sostengano spese di rifacimento del verde di spazi condominiali e la spesa sia ripartita tra i vari condomini in relazione alle singole unità immobiliari.

Infatti la Legge di Bilancio 2018 stabilisce che “la detrazione in esame spetta anche per le spese sostenute per interventi effettuati sulle parti comuni esterne degli edifici condominiali di cui agli articoli 1117 e 1117-bis del codice civile, fino ad un importo massimo complessivo di 5.000 euro per unità immobiliare ad uso abitativo. In tale ipotesi la detrazione spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputabile a condizione che la stessa sia stata effettivamente versata al condominio entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi”.

 

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La detrazione Irpef va calcolata su un importo massimo di 5.000 euro per unità immobiliare a uso abitativo ed è pari al 36% delle spese sostenute nel 2018 per gli interventi appena citati. In ogni caso, la detrazione massima non potrà superare 1.800 euro per immobile, ossia il 36% di 5.000 euro, comprese eventuali spese di progettazione e manutenzione.

La detrazione spetterà anche per le spese sostenute per interventi effettuati sulle parti comuni esterne condominiali, sempre nel limite massimo di 5mila euro per unità. In tal caso la detrazione spetta al singolo condomino, nel limite della quota a lui imputabile, purché la quota sia stata effettivamente versata al condominio entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Bonus verde, come richiederlo

È semplice. Basta che il pagamento delle spese avvenga tramite strumenti che consentano la tracciabilità come bonifico bancario o postale. La detrazione sarà ripartita come sempre in dieci quote annuali di pari importo e le ricevute di pagamento vanno allegate alla dichiarazione dei redditi.

Quante deleghe sono permesse in assemblea di condominio?

Quante deleghe sono permesse in assemblea condominiale è sempre una domanda che numerosi condòmini si pongono. Facciamo chiarezza una volta per tutte su questo tema. L’articolo 67 del Codice Civile stabilisce che negli edifici con più di 20 condòmini, il delegato non possa ricevere un numero di deleghe maggiore a un quinto del numero complessivo di cui si compone il condominio e che contestualmente non superino il quinto del valore dell’edificio.
Facciamo un esempio pratico: nel caso in cui il vostro edificio sia composto da 45 famiglie differenti, ogni condòmino può rappresentare massimo nove persone, tenendo in considerazione che i millesimi rappresentati non superino i 200. Nel caso in cui questa soglia venga superata non è possibile farsi rappresentare in assemblea né da un condomino e né dall’amministratore, al quale è vietato ricevere deleghe.

Secondo la legge la delega deve avvenire per via scritta e nel caso in cui un’unità immobiliare appartiene in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea designato dai comproprietari interessati. Invece se gli edifici sono diversi con tetti ed impianti autonomi, ma hanno delle parti in comune si può parlare di supercondominio. In questo caso, quando I condòmini sono più di 60 ciascuno deve designare il proprio rappresentate all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni e per la nomina dell’amministratore.

Quando decade l’amministratore di condominio

Quando decade l’amministratore di condominio?

In quali casi l’amministratore di condominio può decadere? Non è semplice capire quali possono essere le cause che portano alla revoca dell’amministratore e in quali casi i condomini possano richiederla.

In questo articolo cercheremo di capire cosa prevede la legislazione italiana a riguardo.

L’amministratore condominiale è colui che rappresenta e gestisce un condominio, la sua figura è dunque riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza.

Secondo quanto previsto dall’art. 1129 del Codice civile, che ha modificato la norma in materia condominiale, il mandato dell’amministratore condominiale ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata.

quando decade l'amministratore condominiale

I casi più gravi in cui il mandato dell’amministratore di condominio decade sono:

  • l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;
  • la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell’assemblea;
  • la mancata apertura ed utilizzo del conto corrente bancario o postale intestato al condominio;
  • la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini;
  • l’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;
  • qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio;
  • l’inottemperanza agli obblighi di cui all’art. 1130, n. 6), 7) e 9) (tenuta dei registri di anagrafe condominiale, registro dei verbali delle assemblee, registro di nomina e revoca dell’amministratore e registro di contabilità);
  • l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma dell’articolo 1129 (informazioni scritte da fornire in caso di accettazione della nomina).

Sono queste le principali misure previste dalla normativa italiana per revocare il mandato all’amministratore condominiale.

La normativa italiana grazie all’articolo 1129 del Codice civile prevede che la revoca del mandato dell’amministratore condominiale possa essere deliberata in ogni momento dell’assemblea.

Questo vuol dire che i condomini hanno sempre la possibilità di decidere di revocare l’amministratore nominato, anche a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo alla base dell’interruzione del rapporto.

 

Il condominio è sostituto d’imposta, cosa significa

Il condominio è sostituto d’imposta, cosa significa? 

L’espressione sostituto d’imposta è un termine conosciuto che però in pochi associano in riferimento al condominio. Eppure, il condominio, a partire dal 1 gennaio 1998, è considerato sostituto d’imposta e pertanto è il soggetto che ha l’obbligo di versare le imposte allo Stato (o ad altro ente a seconda dei casi). Ma chi è il sostituto di imposta?

Il sostituto d’imposta è il soggetto obbligato al pagamento delle tasse al posto di altri, per fatti o situazioni ad essi riferibili.

La legge prevede che l’obbligo di pagare un’imposta spetti ad un soggetto diverso da quello sul quale sorge l’obbligo fiscale. La sostituzione dell’imposta si ha quando un soggetto diventa per legge l’unico obbligato al pagamento dell’imposta nei confronti dell’ente creditore.

Il condominio è tra i soggetti tassativamente indicati dalla legge come sostituti d’imposta in quanto ciò è espressamente previsto per legge. Nella prassi il condominio agisce tramite l’amministratore, tenuto ad effettuare gli adempimenti fiscali e ad eseguire tutte le incombenze relative alla gestione del condominio.

In pratica, quindi, l’amministratore riceve dalla ditta una fattura con l’indicazione della ritenuta d’acconto (l’indicazione, cioè, delle tasse da pagare) e paga alla ditta l’importo al netto della ritenuta: l’importo, cioè, al netto delle tasse. Chi pagherà le tasse? Sempre l’amministratore, che si sostituirà alla ditta versando (al posto della ditta stessa) il relativo importo al fisco. Così il condominio sarà sostituto d’imposta e la ditta sarà la “sostituita”.

il condominio sostituto d'imposta

Quando il condominio è sostituto di imposta?

L’amministratore è tenuto a pagare le imposte e ad eseguire tutte le incombenze relative alla gestione del condominio anche in merito ai compensi del portiere dello stabile, a quelli della ditta di pulizie e manutenzione.

L’obbligo in questione sorge quando devono essere pagati, per conto del condominio, compensi e/o corrispettivi:

  • Lavoratori dipendenti (per servizi di portineria o pulizia);
  • Lavoratori autonomi (prestazioni di geometri, ingegneri, commercialisti, avvocati);
  • Per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o di servizi.

In concreto, dunque, nel momento in cui il condominio effettua dei pagamenti per una delle ragioni appena dette è anche tenuto ad effettuare la ritenuta d’accontoossia a trattenere dal compenso un certo importo a titolo di tasse. Tali somme dovranno essere versate poi al fisco.

Condominio: le regole per animali in ascensore

È consentito portare gli animali in ascensore del condominio?

L’ascensore rientra tra i beni comuni del Condominio e, pertanto, soggiace alla disciplina di cui all’art. 1102 del Codice Civile che, al comma primo, recita: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.

Cosa dice la legge riguardo agli animali in condominio?

Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. La normativa, tuttavia, riguarda il regolamento assembleare, il quale sia stato approvato in assemblea nel rispetto delle maggioranze previste dall’art. 1138 del codice civile.

Diverso il caso del regolamento contrattuale, che richiede l’approvazione di tutti i condomini e può, di fatto, andare a limitare i diritti dei singoli sulle parti comuni e di proprietà esclusiva, senza però derogare a quanto stabilito dal quarto comma dell’art. 1138. In pratica le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare a una serie di norme puntualmente elencate.

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Animali in ascensore sì o no?

Visto il quadro normativo, nella sua complessità, si ritengono illegittime le clausole che impediscono l’uso dell’ascensore agli animali domestici, posto che il bene viene utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione.

In ogni caso, l’utilizzo dell’ascensore con il proprio cane, non deve arrecare pregiudizi agli altri condomini e pertanto dovrà essere cura del proprietario, al di là di ogni previsione regolamentare, porre in essere tutti gli accorgimenti pe evitare problemi e danni dunque:

  • lasciare l’ascensore pulito (utilizzando anche appositi spray igienici ecosostenibili e cruelty free);
  • condurre il cane a guinzaglio (che si consiglia di agganciare alla pettorina e non al collo dell’animale per evitare che lo stesso si possa inceppare nelle porte dell’ascensore, strozzando il cane);
  • utilizzare la museruola;
  • evitare di utilizzare l’ascensore insieme a terzi che non ne gradiscono la presenza.
  • evitare che abbai: qualora l’animale abbaia oltre il limite della normale tollerabilità, rechi disturbo alla quiete pubblica, bisognerà verificare se l’animale soffra un disagio dovuto, ad esempio, proprio all’utilizzo dell’ascensore o sia manifestazione di un diverso disagio.

Infine, si rammenta che quando i cani diventano anziani, spesso soffrano di displasie che ne rendono sofferta la mobilità, dunque, l’ascensore rappresenta anche per gli stessi uno strumento utile per mantenere i contatti con il mondo esterno alleviando la loro sofferenza.

Il compenso dell’amministratore di condominio: chi decide quanto pagarlo?

Il compenso dell’amministratore di condominio, nel bilancio, è composto da due voci: compenso ordinario per l’amministrazione e compenso straordinario per l’assistenza ai lavori di ristrutturazione. Chi decide quanto pagarlo? Ci sono diversi casi che verranno analizzati nel dettaglio.

 

Il compenso dell’amministratore non è stato predeterminato

L’amministratore, all’atto della sua candidatura alla carica, è tenuto a fornire un preventivo scritto. In mancanza di questo la sua nomina è revocabile. L’assemblea al momento di nominare un amministratore sceglie anche il suo preventivo, e dovrà attenersi a quello, poiché con la sua nomina ha anche accettato il preventivo.

Infatti il codice civile è abbastanza chiaro: la norma stabilisce che all’accettazione della nomina e al suo rinnovo, l’amministratore è tenuto a specificare analiticamente, pena nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta. Inoltre comunica altre informazioni come i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione. In aggiunta comunica anche il locale dove si trovano i registri di condominio con i giorni e le ore in cui ogni interessato, su richiesta, può prenderne gratuitamente visione.

La nomina dell’amministratore, in assenza di valida accettazione da parte dell’assemblea sua e del suo compenso indicato tramite preventivo, è nulla.

All’amministratore, oltre il compenso per l’attività svolta, spetta il rimborso per le spese sostenute nell’arco della sua carica, come presentate in sede di approvazione assembleare del preventivo.

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Il compenso straordinario dell’amministratore di condominio

L’amministratore è solito richiedere un compenso a parte espresso in ragione del 2-3% in occasione di lavori di manutenzione straordinaria. Tuttavia, anche il compenso straordinario deve essere previamente indicato nel preventivo; esclusivamente in questo caso egli ne ha diritto. Se invece il compenso straordinario non era richiesto all’interno del preventivo, la richiesta dovrà essere sottoposta all’approvazione dell’assemblea che potrà anche rifiutare.

Rimborso spese all’amministratore di condominio

Secondo la Cassazione, l’amministratore di condominio non ha un generale potere di spesa, in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale di approvare il bilancio consuntivo, e di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore. In assenza di una delibera dell’assemblea, l’amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché il credito dell’amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea.

Condominio: si applica la legge o il regolamento condominiale?

In condominio si può applicare sia la legge che il regolamento condominiale? La riforma prevede che il bilancio debba essere approvato entro 180 giorni dalla chiusura. Il nostro regolamento condominiale contrattuale prevede che l’assemblea si tenga entro il 31.8 dell’anno successivo alla chiusura. Quale applicare?

Il codice civile, come legiferato dalla riforma del condominio ha stabilito che l’amministratore deve redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro 180 giorni. Le disposizioni in materia contabile volte a incrementare il livello di trasparenza sono fra le principali novità. Il codice civile, nella sua formulazione ante riforma, disponeva che l’amministratore al termine di ciascun anno rendicontasse la sua gestione in sede assembleare, non sussistendo alcuna previsione in ordine alle modalità ed ai criteri a cui attenersi nella redazione del relativo documento.

condominio regolamento

 

L’amministratore ha l’obbligo di redigere il rendiconto annuale della sua gestione, tenendo in considerazione che non sempre la chiusura di un esercizio coincide con la chiusura dell’anno solare, nel senso che può essere chiuso anche a febbraio o aprile. Pertanto, i 180 giorni iniziano a decorrere dalla data della chiusura dell’esercizio. Quindi se l’esercizio si chiude il 30 aprile, l’approvazione da parte dell’assemblea, che deve essere appositamente convocata dall’amministratore stesso, deve avvenire entro la data del 30 ottobre dello stesso anno. Il bilancio deve essere sempre approvato nei 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio che può variare da condominio a condominio. In merito al quesito relativo alla prevalenza del regolamento condominiale contrattuale o della legge di riforma del condominio, la risposta è molto semplice e, allo stesso tempo, scontata: va applicata la norma di legge.