Barbecue in condominio? Si può, ma nel rispetto del vicinato e delle norme

Arriva la bella stagione e con questa anche il periodo delle grigliate con gli amici. Fare un barbecue in condominio non è vietato ma bisogna usare alcune accortezze, ad esempio rispettare la tollerabilità delle emissioni di fumo.

La normativa che regola la tutela dei diritti e dei doveri di un possessore di barbecue nei confronti del vicinato è racchiusa nell’articolo 844, comma 1 del Codice Civile, secondo la quale è consentita l’emissione di fumi (di qualsiasi provenienza), purché questi non superino il limite di tollerabilità.

I fumi del barbecue possono creare disturbo alle abitazioni private e alla qualità della vita e, proprio per questo motivo, è indispensabile che venga realizzato con componenti tali da garantire la sicurezza e lo smaltimento dei fumi in maniera responsabile.

L’attitudine delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare persone non deve necessariamente essere accertata mediante perizia. Infatti, il giudice può, secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle emissioni in causa. Quindi non è necessario che l’emissione stessa provochi un effettivo danno, essendo sufficiente l’attitudine del gas, del vapore o del fumo, emesso ad offendere, imbrattare, molestare le persone. In conclusione, non è necessario aver provocato direttamente un danno in quanto basta l’attitudine stessa dei gas ad essere molesti.

Anche per ciò che riguarda la collocazione del barbecue in condominio, non esiste una regolamentazione generale valida per tutti, purché si rispetti sempre il limite di tollerabilità stabilito dalla normativa relativa alle emissioni di fumo. Nonostante i divieti imposti dalle previsioni legislative, tuttavia, esistono anche delle deroghe previste dai regolamenti condominiali. I condomini, con il regolamento di condominio, possono disciplinare i loro rapporti reciproci, in materia di immissioni di fumo, anche con norma più rigorosa di quella dettata dall’art. 844 del codice civile. È importante che l’amministratore di condominio intervenga per assicurare il miglior godimento delle parti comuni a ciascun condomino, sottoponendo eventualmente la questione all’assemblea per prendere le opportune decisioni.

Spesso le emissioni di fumo, ad esempio provenienti dal barbecue in condominio, vengono disciplinate non solo dal regolamento condominiale, ma anche da quello della Polizia Urbana Comunale: ad esempio, alcuni regolamenti prevedono il divieto di accendere fuochi di qualsiasi genere, anche in luoghi privati, se non si è forniti di apposita canna fumaria.

Alla luce di quanto esposto, prima di intraprendere la strada giudiziale, è innanzitutto opportuno far presente al vicino che i fumi del suo barbecue recano disturbo agli altri condòmini. Se non dovesse bastare, si potrà interpellare l’amministratore e chiedergli di predisporre una nota generica da inviare a tutti gli inquilini dell’edificio, nella quale li si richiama ad osservare regole comportamentali per il buon vivere civile.

Danni da infiltrazioni di acqua in condominio: chi è tenuto al pagamento?

Macchie di umidità e infiltrazioni di acqua in condominio, come comportarsi? Sono queste due delle cause più frequenti di danni subiti dagli appartamenti siti all’interno di un condominio. Purtroppo, non è sempre così semplice individuarne il responsabile e quindi chi è tenuto al risarcimento, in quanto tale fenomeno potrebbe assumere contorni più complicati in ragione della possibile implicazione di più soggetti.

Tuttavia, per stabilire in quali casi il risarcimento spetta al condominio e in quali casi al singolo proprietario, ci si può rifare al codice civile in cui si afferma che, ai sensi dell’articolo 2051, il presunto responsabile dei danni a terzi che derivano da un determinato bene è il soggetto che ne possiede la custodia. Quindi, qualora le infiltrazioni provengano dalla rottura di una tubatura condominiale o di qualsiasi altro bene comune, il responsabile per i danni che ne derivano sarà il condominio stesso, che dovrà farsi carico sia dei lavori di riparazione sia del risarcimento. È infatti proprio il condominio che ha l’obbligo di custodire le parti e gli impianti comuni dell’edificio e quello di garantirne la manutenzione.  Laddove il problema sia riconducibile all’operato del costruttore del condominio, sarà possibile rivalersi sullo stesso e l’amministratore dovrà intervenire per far sì che vengano eseguite tutte le opere necessarie ad eliminare la causa dei danni.

Occorre, però, fare una precisazione in merito ai danni alle tubature: quelle di adduzione sono di proprietà condominiale fino a quando non incontrano i contatori dei singoli condomini, mentre quelle di scarico lo sono fino a quando non si collegano con i tubi dei vari appartamenti. Di conseguenza, se le infiltrazioni provengono da tubature di proprietà del singolo condomino, sarà quest’ultimo a dover rispondere dei danni causati a terzi. L’unico modo per potersi esonerare è provare che il danno si è verificato per caso fortuito.

Nel caso in cui l’immobile dal quale provengono le infiltrazioni è concesso in locazione, sarà considerato responsabile il locatario, ossia il proprietario dello stesso che ne conserva la custodia.

In ogni caso, la cosa più opportuna da fare quando si verificano infiltrazioni di acqua in condominio è quella di avvisare l’amministratore per poi procedere all’eliminazione del problema.

Odori condominiali: che fare quando diventano insopportabili?

Fumi eccessivi e odori condominiali insopportabili: quando superano la soglia della tollerabilità diventano reato. Da sempre si sa che la vita in condominio è una vera e propria battaglia e i rapporti tra vicinato possono diventare oggetto di discussione che spesso si combatte nelle aule di tribunale. Una delle più recente liti è stata quella riguardante l’odore di fritto in condominio. I proprietari di un appartamento sono stati citati in giudizio con l’accusa, da parte dei condomini residenti al terzo piano, di aver provocato continue immissioni di fumi, odori e rumori molesti provenienti dalla loro cucina. Gli imputati sono stati condannati in base alla sentenza 14467/017, con la quale sono nate le «molestie olfattive», inquadrate dalla Cassazione nel reato di «getto pericoloso di cose» (articolo 674 del Codice penale).

Le immissioni di fumo e gli odori condominiali molesti devono naturalmente avere la consistenza indicata e quindi essere di tal natura da superare la normale tollerabilità. L’intollerabilità delle stesse deve essere provata da colui che ne lamenta l’esistenza e la semplice presenza di fumo non è di per sé sufficiente a configurare un danno alla salute. Ciò, in sostanza, vuol dire che i vicini di casa devono sopportare gli odori di cucinato se e fino al punto in cui gli stessi non diventano intollerabili. Prima di intentare una causa contro il vicino è fondamentale accertarsi e analizzare in maniera consapevole l’intensità degli odori e la loro idoneità a ripercuotersi in maniera sfavorevole nei confronti dei condomini che li subiscono. Ci si può avvalere dell’ausilio di un tecnico per valutare l’effettiva entità del problema e, magari, rivolgersi all’amministratore di condominio affinché vengano stabilite delle regole in merito.

Se, tuttavia, la situazione non migliora e gli odori diventano insopportabili, ci si potrà rivolgere al giudice che prenderà gli opportuni provvedimenti. A questo proposito, secondo quanto previsto dall’articolo 7 del codice di procedura civile, la competenza per le esalazioni spetta al giudice di pace.

odori condominiali giudice di pace

L’inquilino può diventare amministratore di condominio?

L’inquilino può diventare amministratore di condominio, se si, quali requisiti deve avere? Un quesito che spesso si pongono gli inquilini di edifici condominiali medio-piccoli, il numero minimo dei condòmini è otto, oltre il quale è obbligatorio nominare un amministratore.

Dunque gli edifici condominiali con meno di otto proprietari possono essere gestiti senza l’amministratore, anche se nessuna norma vieta ai condòmini di poterlo nominare in ogni caso. L’autogestione in effetti è stata incoraggiata dal legislatore e numerosi condòmini allettati dalla prospettiva di non pagare l’onorario dell’amministratore si organizzano nominando un referente interno che si occupa della gestione condominiale.

La mancanza di un amministratore esterno non fa venir meno le responsabilità civili e penali collegate alla sua figura, specialmente in termini fiscali.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche in mancanza della nomina di un amministratore, quindi anche se in meno di otto inquilini, le ritenute devono essere effettuate da uno dei condòmini. Il condominio è un sostituto d’imposta pertanto dovrà presentare i modelli 770 e di Certificazione Unica con il relativo codice fiscale da comunicare ai fornitori e per legge deve emettere la relativa fattura.

happy-businessman-making-thumbs-up-sign_1325-454

Questo significa che nei condomini un referente o condòmino con le funzioni di amministratore è sempre necessario. Quali sono le competenze necessarie? La legge stabilisce requisiti specifici per poter adempiere a questo ruolo. Tra i requisiti necessari troviamo il diploma di scuola superiore, il superamento di un corso di formazione iniziale, la frequentazione dei corsi annuali di aggiornamento. I requisiti di formazione e professionalità non sono necessari nel caso in cui l’amministratore sia stato nominato tra i condòmini, ma i requisiti di onorabilità non possono mai mancare.

L’amministratore interno, con “licenza di incompetenza”, può essere considerato come un amministratore interno? Ovviamente facciamo riferimento al condòmino privo dei requisiti professionali indicati dalla legge. Il comma 2 dell’art. 71 bis prevede la possibilità di amministrare un condominio senza il conseguimento del diploma di scuola media superiore ed il corso di formazione iniziale, soltanto nel caso in cui “l’amministratore sia nominato tra i condòmini dello stabile”. In conclusione, i condòmini sono esclusivamente le persone proprietarie di una porzione immobiliare nell’ambito dell’edificio condominiale, e l’inquilino incaricato ad amministratore deve possedere gli stessi requisiti di formazione e professionalità di un amministratore esterno.

Le spese di condominio arretrate durante una compravendita della casa chi le paga

 Le spese di condominio arretrate, quando si acquista una casa, a volte creano delle difficoltà per i nuovi inquilini. A chi spetta il pagamento degli oneri arretrati? La legge applica una responsabilità solidale per due anni tra il venditore e il compratore. L’amministratore condominiale dunque può chiedere il pagamento delle spese arretrate sia al vecchio proprietario che al nuovo indifferentemente e a propria scelta.

I nuovi proprietari sono responsabili, congiuntamente al precedente titolare, esclusivamente per i contributi condominiali non ancora versati relativi all’anno in corso e a quello precedente. Nel caso di morosità anteriori, ne risponde sempre e solo il venditore mentre per quelle successive sempre e solo l’acquirente.

Secondo il codice civile le spese di condominio, relative all’anno in corso e a quello precedente, non ancora versate sono a carico sia del venditore che dell’acquirente. Il periodo annuale secondo la Cassazione fa riferimento all’inizio dell’esercizio della gestione condominiale, che può non coincidere con l’anno anno solare (ovvero dal 1° gennaio al 31 dicembre). Nel caso di inadempimento e morosità per somme relative a tale periodo di tempo, l’eventuale decreto ingiuntivo  viene chiesto nei confronti dell’acquirente, che potrà poi chiamare in causa il venditore.

Se si tratta di debiti anteriori rispetto all’anno in corso e all’anno precedente, risponde esclusivamente il vecchio proprietario di quel period. Nel caso in cui l’amministratore dovesse agire contro l’attuale condomino per recuperare le somme arretrate, questi può rivalersi contro il venditore e se il contratto di compravendita contiene la clausola tipo “venduto libero da oneri ecc.”, può anche chiedere un congruo risarcimento del danno.

Il meccanismo del subentro dell’acquirente nei debiti condominiali del venditore riguarda anche la cessione dell’usufrutto o di acquisto all’asta non solo il caso di vendita dell’immobile.

Nel caso di compravendita di casa l’acquirente deve pagare:

  1. Le spese di gestione e manutenzione ordinaria sostenute nell’anno in cui è stato comunicato il contratto di vendita all’amministratore ed in quello precedente;
  2. Le spese di gestione straordinaria che sono state deliberate dall’assemblea nell’anno in cui si è perfezionato l’acquisto.

Area condominiale di proprietà esclusiva: si possono fare i lavori?

Nell’ area condominiale di proprietà esclusiva la realizzazione delle opere pone problemi sia per quanto concerne i rapporti con il condominio sia con la pubblica amministrazione.

La legge stabilisce che sulle parti di proprietà individuale, ovvero di proprietà esclusiva di un singolo condòmino, quest’ultimo può eseguire opere con l’unico limite consistente nel divieto di eseguirle se rechino danni alle parti condominiali oppure se determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso bisogna informare preventivamente l’amministratore che riferisce all’assemblea.

Si noti che l’assemblea è chiamata dalla legge a valutare in maniera motivata se il progetto possa arrecare danno ai beni condominiali o provocare un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro dell’edificio.

lavori area condominiale

Più accurato sarà il progetto, meno eccezioni potranno essere sollevate in assemblea; l’assemblea potrà deliberare il nulla osta all’esecuzione delle opere del lettore oppure deliberare che le opere, così come presentate, siano vietate perché potenzialmente dannose per i beni condominiali. Per quanto riguarda il rapporto tra le opere che si intendono realizzare e la Pubblica amministrazione, ovvero il Comune, anche in tale contesto è necessario munirsi di un progetto redatto da un tecnico abilitato.

A seconda del tipo di opere che si intendono realizzare, sarà necessario un diverso tipo di autorizzazione da parte del Comune. A tal fine si indicano le norme che specificano (troverete sul nostro sito l’elenco dei titoli abilitativi) per ogni singolo tipo di intervento edilizio che si intende realizzare, quale tipo di autorizzazione sia necessario richiedere ed ottenere dal Comune.

Tende da sole diverse in condominio: si può?

In linea generale ciascun condòmino è libero di scegliere le tende da sole che preferisce per il proprio balcone. Di fatto si tratta di uno spazio di proprietà esclusiva il cui utilizzo non può essere messo in discussione dal condominio. L’unico limite è non violare l’estetica del palazzo, bisogna rispettarla anche nel caso in cui l’edificio non abbia un particolare pregio urbanistico. L’estetica del palazzo non può costituire un ostacolo, specialmente se già tutti i condòmini hanno delle tende differenti: in questo caso non si potrà attaccare il condòmino che abbia scelto delle tende da sole particolari salvo casi eccezionali (si pensi all’eccentrico che, sulla tenda, abbia fatto stampare il grosso teschio come simbolo dei pirati).

tende da sole condominio

Sono due i casi in cui il diritto di scegliere autonomamente le tende da sole può essere limitato:

  • In presenza di un regolamento di condominio di tipo contrattuale: si tratta di quello redatto dal costruttore dell’immobile e fatto approvare dai singoli acquirenti all’atto del rogito. In questo modo viene raggiunta l’unanimità;
  • Da un accordo sottoscritto da tutti i condomini. L’accordo può vietare per esempio di abbellire il terrazzo con tende o imporre una particolare tipologia.

Non è sufficiente una votazione unanime dell’assemblea, poichè per limitare il diritto d’uso delle proprietà esclusive dei condomini è necessaria un’autolimitazione degli stessi e, quindi, il consenso di tutti, anche di quelli non presenti in assemblea.

Le restrizioni all’utilizzo delle tende da sole deve essere firmato da tutti i condomini perché i divieti costituiscono delle servitù sugli immobili. L’atto inoltre deve essere annotato nei registri immobiliari pubblici affinché sia valido anche per i successivi acquirenti.

Riscaldamento, ecco gli adeguamenti che riducono le bollette

Il riscaldamento da qualche settimana è diventato davvero indispensabile visto che è ufficialmente arrivato il freddo.  In Italia dal 1° dicembre c’è stato l’avvio delle caldaie anche al Centro-Sud. Si possono adottare diversi accorgimenti per ridurre la bolletta ma si devono rispettare norme rigorose per quel che riguarda la sicurezza e l’efficienza degli impianti. Infatti per gli impianti condominiali, è entrata in vigore dal 1° luglio la nuova normativa per i contabilizzatori di calore prevista da una direttiva europea. Il termine per installare questi impianti composti da contabilizzatori e termovalvole è scaduto lo scorso 30 Giugno. Questi impianti servono per controllare e regolare la temperatura evitando sprechi suddividendo meglio la spesa tra un appartamento e l’altro.

Il mancato adeguamento alla norma comporta sanzioni dai 500 ai 2.500 euro per appartamento eseguite dagli enti locali o tecnici qualificati che vengono per controllare lo stato di manutenzione e inquinamento dei fumi.

riscaldamento condominio

Adeguare gli impianti alle nuove normative diventa necessario e per farlo bisogna installare sia le termovalvole sui caloriferi (50-60 euro l’una) sia i contabilizzatori di calore per una spesa, secondo Altroconsumo, tra i 120 e i 200 euro. Per esempio per un appartamento di 80 metri quadrati il costo si aggira intorno ai 1000 euro. La spesa per le termovalvole e i contabilizzatori è detraibile al 50% dalle tasse, inoltre consente un risparmio che va dal 15% a oltre il 20% annuo sulle bollette.

Non avete l’impianto centralizzato? Allora il risparmio energetico e la sicurezza passano per la caldaia autonoma. La nuova direttiva europea, in vigore ormai da due anni, ha previsto l’introduzione obbligatoria dell’etichetta energetica per le caldaie. L’etichetta ricalca quelle già utilizzate per tanti elettrodomestici con le lettere dalla A++ e A+ in giù. Ovviamente, più la caldaia è nelle prime classi, maggiore è la sua efficienza energetica. La nuova normativa ha imposto anche l’obbligo di immettere sul mercato solo caldaie a gas di nuova generazione (a condensazione) che assicurano risparmi di circa il 20-25%. Costano in media tra 2000 e 2500 euro ma usufruiscono del bonus fiscale del 65% (che dovrebbe scendere al 50% dal 2018) e consentono un risparmio medio annuo a famiglia di circa 200 euro.

Obbligo di revisione. Se non viene eseguito il controllo dell’efficienza energetica nei termini di legge, in caso di ispezione si può rischiare una multa che va da 500 fino a 3.000 euro.

Trasformare la cantina in abitazione

Trasformare la cantina in abitazione è possibile, se il regolamento contrattuale vieta unicamente la trasformazione di un locale in locali di ristorazione, bar, ambulatori medici e veterinari. Il Tribunale di Roma lo ha stabilito con la sentenza nr. 8244/17 pubblicata ad Aprile, con la quale il Giudice ha in parte accolto la richiesta di un condomino, ordinando esclusivamente la rimozione dei lavori che coinvolgevano le parti comuni.

Il Tribunale ha stabilito che le clausole regolamentari che limitano i diritti dei condòmini in merito alle proprietà esclusive o comuni sono validamente opponibili ai singoli proprietari solamente nel caso in cui siano contenute nel regolamento di natura contrattuale, accettato da tutti i condòmini.

Le norme del regolamento invece si limitano a disciplinare l’uso delle parti comuni, che sono opponibili anche se non accettate da tutti i condòmini in quanto “hanno mero valore regolamentare sì che possono fra l’altro essere modificate secondo le maggioranze previste dall’articolo 1136 c.c.”

come trasformare la cantina in abitazione

In riferimento alle clausole del regolamento contrattuale, le quali limitano i diritti esclusivi dei condòmini, per far si che siano efficaci il regolamento “deve essere accettato, ovvero deve essere opponibile, stante la mancata attuazione della norma che prevedeva l’istituzione nel registro di cui all’articolo 1129 c.c. ultimo comma, deve essere trascritto ex articolo 2643 numeri 1, 3 e 4 c.c. presso la conservatoria dei registri immobiliari, trascrizione che integra una pubblicità dichiarativa che consente a terzi di conoscere gli oneri reali e le servitù reciproche poste a carico degli immobili dal regolamento”.

Dipende dunque dal caso che viene preso in considerazione.  Se il regolamento contrattuale dispone che i locali al piano terra e le cantine di pertinenze possono essere destinate a magazzini e negozi, con espresso divieto per alcune attività, e tale regolamento è stato accettato anche dal condòmino proprietario della cantina non vi è alcun divieto nella trasformazione del locale.

Dunque secondo questi principi, gli interventi realizzati dal proprietario della cantina sono leciti, ad eccezione di quelli che incidono negativamente sul decorso architettonico e sulle parti comuni dell’edificio, che in quel caso andrebbero rimossi.

Spese anticipate al condominio: il singolo condòmino può essere rimborsato?

Spese anticipate al condominio, di cosa si tratta nello specifico? Vi è capitato di aver sostituito le lampadine del vostro pianerottolo dopo diversi mesi che nessuno se ne è preso cura nonostante fossero fulminate? Oppure le piante stanno morendo ma l’amministratore al momento non vuol pagare un giardiniere che provveda ad innaffiarle e così ve ne siete occupati voi? In questi casi il singolo condòmino ha anticipato delle spese per il condominio ed è normale che si chieda se è suo diritto essere rimborsato. Il codice civile contiene la risposta.

In base alla legge, tutte le volte in cui un condomino anticipa delle spese per le parti comuni dell’edificio senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, a meno che non si tratti di una spesa urgente. In tal caso, può avanzare il diritto al rimborso solo chi si trova in una delle due seguenti condizioni:

  • Prima di sostenere la spesa ha ottenuto l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea (in quest’ultimo caso sarà necessario che la decisione sia messa a verbale);
  • Ha eseguito la spesa per delle opere urgenti, ossia improrogabili, in modo da evitare un possibile – anche se non certo – danno alla cosa comune. L’urgenza deve essere dimostrata dal condòmino che ha sostenuto la spesa.

spese anticipate al condominio

Nel caso in cui non vi sia l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea, le spese effettuate dal singolo condòmino non vengono rimborsate, anche se ritenute necessarie; tali spese, infatti, vengono rimborsate solo nel caso in cui, oltre ad essere necessarie, siano anche urgenti. Urgenti sono le spese che non possono essere differite senza che da ciò ne discenda un danno per il condominio.

Secondo la Cassazione, il diritto al rimborso delle spese anticipate al condominio scatta solo se tali spese hanno carattere urgente; non c’è possibilità di ottenere alcun rimborso nel caso in cui vi sia solo trascuratezza e inerzia da parte degli altri condomini nel giungere a una decisione comune.

In sintesi, per stabilire se e quando si ha diritto al rimborso secondo il principio sancito dalla Corte, il condòmino deve interpellare gli altri condomini e l’amministratore, prima di provvedere alle spese per le cose comuni, salvo che si tratti di spese urgenti, altrimenti non riceverebbe alcun rimborso per le spese sostenute.