Le liti per le aree ad uso pubblico tra privati, condomini e Comuni sono frequenti. Ma cosa si intende per l’utilizzo di aree soggette a uso pubblico? Spesso in sede di edificazione, il Comune può ottenere dal costruttore una servitù ad uso pubblico su una superficie limitrofa all’edificio.
Nel caso in cui in un secondo momento l’ente locale dia in concessione l’area ad un privato, dunque gli concede la possibilità di collocare tavolini e sedie sull’area, sorge un conflitto fra i privati che avevano concesso esclusivamente l’uso pubblico e non la piena proprietà. Se il Comune ha una “servitù ad uso pubblico” sull’area significa che il privato ha tutte le altre possibilità differenti dal semplice passaggio. Dunque il privato proprietario non può impedire il libero passaggio, ovvero il normale uso pubblico, ma dall’altro lato il Comune non può destinare l’area ad usi speciali ovvero distese di esercizi pubblici, edicole, palchi etc.
Il diritto di proprietà tra privato ed amministrazione pubblica si scinde in più possibilità: al Comune va riconosciuto l’uso pubblico per il transito e la sosta, mentre al privato rimangono gli usi ulteriori. Questi ultimi possono avvenire esclusivamente se non vi sono contrasti con l’uso pubblico, ovvero rispettando gli aspetti edilizi, ambientali e a tutela dei centri storici.
Come si affrontano questi problemi? Prima di tutto occorre verificare se il Comune dispone delle aree a titolo di proprietà o di beneficiario per una servitù ad uso pubblico. In entrambi i casi devono risultare da un titolo, che sia esso un rogito di trasferimento oppure una generica “dicatio ad patriam” ovvero la volontà del privato a consentire l’uso comune di un’area.